Progetto NE TAKO NEGO OVAKO
Il progetto nasce dall’esigenza di conoscere e collaborare con alcune realtà teatrali dell’area balcanica attive durante il conflitto bellico. Questa ricerca, iniziata nel 1994 con la realizzazione di un laboratorio all’interno del campo profughi di S. Mauro Mare (MO) si è, nel tempo, ampliata coinvolgendo come enti co-produttori la Regione Emilia Romagna e il Comune di Bologna, interessati al proseguimento di questo scambio culturale.
Dal progetto sono nati:
– Relazione documentaria sulle realtà di teatro contemporaneo operanti in Bosnia Herzegovina, costituita da interviste e materiali fotografici raccolti durante tre viaggi nelle città di Mostar Sarajevo e Tuzla.
– Partecipazione al festival di Mostar con lo spettacolo Tu, misura assoluta di tutte le cose e al festival di Sarajevo con lo spettacolo Poema della forza.
– Prometej, spettacolo nato da un laboratorio realizzato con giovani attori di Mostar, ha debuttato al Lutkarsko Pozoriste di Mostar nel dicembre 1996, in seguito ha replicato al Teatro Petrella di Longiano (FO), Marzo 1997.
– E’ stato inoltre prodotto il video Ne tako nego ovako che, oltre a riprendere lo spettacolo, illustra il progetto realizzato.
Sempre nell’ambito dello stesso progetto, le Laminarie hanno curato la traduzione di una parte del diario di guerra della drammaturga serba Jasmina Tesanovic presentati a Santarcangelo dei Teatri nell’ambito dell’incontro “Ancora Antigone” curato da Laura Mariani.
I resoconti dell’attività di ricerca svolta sono stati pubblicati sulle riviste: Linea d’Ombra, Anarchia, Zero in Condotta.
In continuità con il progetto Ne tako nego ovako la compagnia Laminarie approfondisce le relazioni sorte con le realtà teatrali dell’area balcanica, in particolare con la Bulgaria, grazie alla collaborazione avviata con lo State Drama Theatre di Plovdiv per realizzare nel 2000 il progetto Eudemonica. Ed è in Bulgaria che la compagnia Laminarie ha modo di conoscere l’opera dello scrittore bulgaro Jordan Radickov da cui nasce nel 2001 la produzione Bisce, tratta dall’omonimo romanzo dello scrittore.
Nel marzo 2002 su invito dell’Istituto Italiano di Cultura di Sofia e dello State Drama Theatre di Plovdiv la compagnia realizza nove repliche di cui quattro a Sofia, tra Il Teatro Nazionale “Ivan Vazov”, l’Accademia delle Arti performative, il complesso Scolastico Nazionale di Cultura Gorna Banja dove si insegna la lingua italiana e il Centro Didattico Cechov; e cinque repliche a Plovdiv presso lo State Drama Theatre e il Teatro “A’ Part” a cui ha fatto seguito un workshop aperto al pubblico con proiezioni video condotto dalla compagnia con la partecipazione degli stessi attori dello State drama Theatre con cui si è realizzato il progetto Eudemonica nell’ambito delle manifestazioni per Bologna 2000 Città Europea della cultura.
A MOSTAR, A MOSTAR
articolo pubblicato in:
Zero in condotta, n. 2, del 25 ottobre-7 novembre 1996
A, Rivista Anarchica, n. 9 del dicembre 1996 – gennaio 1997
Linea d’Ombra, n.122, febbraio 1997
Le vie dei Canti, anno IV, a cura di Ravenna Teatro, Ravenna 1997
Dopo quattro anni di interruzione causata dalla guerra, si è svolto a Mostar, dal 30/08/1996 al 03/09/1996, la 17ª edizione del festival internazionale Pozorita autorske poetike “Dani Teatra Mladih”. Durante il festival si sono tenuti due laboratori ai quali hanno partecipato, oltre alle compagnie ospiti, attori belgi, sloveni, polacchi e bosniaci. Le rappresentazioni si sono svolte all’interno dell’ “Omladinski Centar”, all’ex “Hotel Ruza”, al “Pecina u starom gradu” e in spazi all’aperto. Il programma del festival comprendeva compagnie provenienti da Bosnia (Mostarski Teatar Mladih, Lutkarsko Pozoriste Mostar), Spagna (Les Balcaniques), Austria (Vis Plastika), USA (ASF), Italia (Laminarie).
La compagnia Laminarie è composta da Febo Del Zozzo, Bruna Gambarelli e Fabiana Terenzi e opera dal 1994. Una parte dell’attività delle Laminarie, oltre alla produzione dei propri spettacoli, è rivolta allo studio e alla ricerca teatrale in campo infantile e adolescenziale.
Il 22.08.96, grazie alla presenza in Italia del regista bosniaco Hamica Nametak, abbiamo saputo che l’organizzazione del festival di Mostar era interessata ad ospitarci con il nostro spettacolo. Le comunicazioni con gli organizzatori sono state molto difficoltose, la linea telefonica è continuamente interrotta, risulta difficile anche l’invio dei fax. Siamo partiti dopo aver svolto le pratiche doganali, sostanzialmente senza sapere dove e come avremmo replicato la rappresentazione, nè in quali condizioni.
Non sapevamo dell’esistenza di questo festival, nonostante la massiccia presenza di italiani a Mostar Ovest, le notizie sull’attività culturale di questa città in Italia non arrivano. Sia durante le fasi di emergenza, che ora nella fase di ricostruzione della città, la Cooperazione Italiana e l’I.C.S. hanno svolto un ruolo preponderante, se confrontato con l’attività di organizzazioni simili di altri paesi europei. Ci sembra strano, però, che all’efficienza nell’organizzazione degli aiuti umanitari, non corrisponda un passaggio di informazioni su ciò che sta succedendo, non solo culturalmente, a Mostar. Rispetto ai gruppi teatrali provenienti dagli altri paesi, che da più di un anno lavoravano, in collaborazione con gli operatori di Mostar, per realizzare la nuova edizione del festival, noi sembravamo arrivati per caso (si può arrivare per caso a Mostar?). Nessun giornale italiano ha dato notizia di questo festival, anche dopo il nostro ritorno i tentativi per trasmettere informazioni sul festival sono stati vani. Perchè?
Da quattro anni la guerra continua ad appartenerci solo attraverso immagini e resoconti giornalistici. Abbiamo conosciuto, digerito ed espulso il problema della Ex-Jugoslavia non sapendo effettivamente nulla di ciò che realmente è stata ed è questa guerra. Siamo consapevoli di possedere un surrogato di conoscenza composto da un’ enorme mole di informazioni che, faziose o no, non siamo più in grado di leggere. Conoscere attraverso i fatti e non attraverso la loro riproduzione ci ha dato l’occasione di renderci conto di quanto è profonda la nostra ignoranza.
Siamo arrivati a Spalato via mare, abbiamo percorso circa cento chilometri di strada costiera in territorio croato, poi, a Ploce, abbiamo cambiato direzione e ci siamo diretti a Metkovic.
A Metkovic ci si lascia alle spalle lo stato croato. Allora perchè, lasciando questo stato, paghi un’ assicurazione di 60 DM timbrata Croazia? Si lascia la Croazia, non si entra in Bosnia Herzegovina, ma in Herzeg-Bosnia, in uno stato nazionalista croato che cerca di affossare gli accordi di Dayton, erodendo alla Bosnia altro territorio, a giudicare dal numero di bandiere appese ovunque sembrano convinti di riuscire nel loro intento.
Pochi chilometri dopo la dogana, vediamo le prime case distrutte, interi villaggi rasi al suolo e boschi bruciati.
Metkovic dista circa sessanta chilometri da Mostar, durante tutto il percorso abbiamo incontrato solo battaglioni militari a piedi, carri armati ed altri mezzi bellici dell’IFOR. Giungiamo a Mostar entrando dalla parte Est della città.
Non parlavamo da chilometri e chilometri, giunti qui però dovevamo farlo, perchè bisognava trovare la strada per giungere all’Omladinski Centar, dove ci aspettavano i ragazzi del festival. Eravamo come “insaccati”, non riuscivamo ad essere come si è di solito, cioè scendere dall’auto e chiedere informazioni, il contesto ci aveva assorbito. Percorriamo la strada principale della città, le case che la costeggiano sono completamente distrutte, non rase al suolo, distrutte con accanimento da cecchino che deve sparare lì fino ad erodere ogni centimetro. I palazzi mantengono il loro scheletro architettonico, si intuisce che la città era bellissima. Adesso vogliamo capire tutto e subito, nello stesso tempo siamo così turbati da rimanere immobili. Si accavallavano, per la prima volta e in modo molto lucido, domande alle quali non c’era il tempo di rispondere o forse alle quali era meglio non rispondere. Il primo pensiero è stato – perché siamo qui?-
Dopo aver chiesto informazioni a qualche persona, riusciamo ad arrivare all’Omladinski Centar. In quel momento ci sembrò strano che questo centro avesse sede in uno stabile appena ricostruito, bianchissimo, con uffici, telefoni, fotocopiatrici e compiuters e sale nelle quali si tengono corsi di danza, di recitazione, di inglese, di informatica. Scarichiamo la scenografia con l’aiuto di alcuni ragazzi bosniaci e veniamo accompagnati nella casa dove dormiremo. L’accoglienza è gentile e soprattutto molto organizzata. Le strade, su cui si affacciano bar con musica ad alto volume, sono piene di persone. A cena cerchiamo di capire quali sono le motivazioni del festival, vogliamo sapere quali sono i gruppi che vi partecipano e molte altre cose, quando distinguiamo nettamente un’esplosione, ci guardiamo intorno, vediamo solo un attimo di esitazione poi tutto riprende come prima. Noi invece abbiamo paura e non riusciamo né a nasconderla, né a continuare a mangiare. I nostri ospiti cercano di tranquillizzarci, ci invitano a continuare a mangiare, altrimenti saranno costretti a chiedere, per noi, agli abitanti di Mostar Ovest di buttare granate solo dopo cena.
Durante tutti i giorni della nostra permanenza sentiremo esplodere altre granate, una nel pomeriggio a pochi metri dall’Omladinski,sul bulevar, confine che divide la città in due parti.
A Mostar esiste una netta separazione fisica tra le persone di cultura croata, che vivono a Ovest, e quelle di cultura mussulmana, che vivono a Est.
Siamo andati solo una volta a Ovest, era l’ora di cena, la polizia ci ha fermato e controllato i documenti. Le strade erano deserte e buie, la gente vive in casa con le serrande abbassate. Le case e i palazzi non sono stati molto danneggiati rispetto alla parte Est della città.
La tensione tra Est e Ovest, le esplosioni, la militarizzazione, le stesse case distrutte man m
ano ci diventano abituali.
Nei giorni successivi al nostro arrivo il pensiero della guerra sarà, anche se sempre presente, in secondo piano. Ci infastidisce dover ammettere che, dopo lo shock iniziale, ci siamo abituati a Mostar. Siamo coinvolti nel vero clima della città. Il contesto di Mostar è più forte della sua immagine.
I volti delle persone che si incontrano sulle strade comunicano energia, Mostar è una città in cui si intrecciano relazioni umane per strada. Questa stessa energia l’abbiamo trovata all’Omladinski Centar. Questo centro è gestito da ragazzi (il più vecchio fra loro ha 28 anni) che si sono assunti, in collaborazione con alcuni gruppi teatrali, la responsabilità di organizzare e gestire completamente il festival. Questa edizione del festival risponde quindi a una forte esigenza di riportare a Mostar il teatro. (Prima della guerra l’attività culturale, e in particolare quella dei Teatri di Mostar, era molto intensa.)
In pochi giorni, durante il festival, sono nati progetti per il futuro teatro di Mostar, scambi tra le compagnie ospiti, lavori di gruppo tra attori austriaci, polacchi, spagnoli e mostarini. Tutti gli spettacoli del festival sono stati visti da moltissimi spettatori, gli stessi che si fermavano poi al centro per partecipare agli incontri che seguivano gli spettacoli. Durante questi incontri i componenti delle compagnie, che avevano rappresentato il loro lavoro, venivano interrogati sui motivi del loro fare in modo esplicito, senza frasi di circostanza, a volte criticando in modo diretto le scelte delle compagnie. Tra le compagnie ospiti e il pubblico il confronto è stato interessante e chiaro.C’è stata una grande collaborazione anche durante le fasi di montaggio e smontaggio delle scenografie.
La stessa forza e radicalità che si vede nei mostarini l’abbiamo ritrovata negli spettacoli bosniaci, la potenza dei corpi e dei volti degli attori era molto incisiva e presente sulla scena.
Il festival è iniziato la sera del 30.08.1996 con lo spettacolo bosniaco “Pax Bosniensis” della compagnia Mostarki Teatar Mladih, in scena venti attori e attrici che visualizzavano, attraverso movimenti corporei, dinamiche inerenti alla guerra. Nell’incontro successivo allo spettacolo, la drammaturga Ljubica Ostojic, ha affermato che questo spettacolo ha per gli attori una importante valenza terapeutica in quanto, probabilmente, la maggior parte di essi ha assistito a uccisioni o ha ucciso a sua volta. Il secondo lavoro bosniaco ”Jedno Putovanje Kroz Teatar” è stato allestito in una grande grotta al centro di Mostar: il regista Hamica Nametak, ha lavorato con attori di 17-18 anni. Gli attori si muovono sulla scena con gesti non evidenti ma precisi, trasmettono al pubblico una forza che non è di impatto, ma è avvolgente non scadendo, mai nella recita. All’Ex-Hotel Ruza si è svolto uno spettacolo di Teatrasca Radionica dal titolo “Podrum” con attori giovani della parte Est e Ovest della città. La compagnia spagnola “Les Balcaniques” ha messo in scena il poema epico dell’autore Albert Herranz . Non siamo riusciti a vedere gli altri spettacoli perchè eravamo impegnati nell’allestimento del nostro.
La caratteristica di questo festival è stata la compressione dei tempi: gli spettacoli si susseguivano e gli incontri delle compagnie con il pubblico erano molto a ridosso delle rappresentazioni e duravano a lungo. C’era la necessità di trovare momenti comuni tra le compagnie per discutere, senza conformismi, del proprio lavoro e per confrontarsi sui progetti futuri.
Hamica Nametak ci ha invitato a realizzare, insieme agli attori della sua compagnia, un laboratorio teatrale, nel quale stabilire una relazione prolungata e articolata nel tempo tra noi e i ragazzi, creando un contesto di relazioni umane orientato all’attività teatrale. Il nostro ritorno a Mostar è previsto verso la fine di novembre. Svolgeremo, per un periodo di circa quindici giorni, la prima parte del laboratorio teatrale. In seguito ci recheremo a Sarajevo e a Tuzla: cercheremo le realtà teatrali di queste città.
Per noi ora è importante tornare. La natura del nostro desiderio di ritornare può essersi determinata dal confronto con la desolante situazione del teatro “di ricerca” italiano, stagnante, arroccato nei suoi circuiti e sottocircuiti, predeterminati chissà quando e da chi, oppure, dall’egoistica necessità di sfruttare l’energia che trasmette questa città, nella quale la cultura ha un ruolo di rilievo. (Basti pensare che stanno già ricostruendo scuole, teatri, conservatori e musei.)
Nell’ultima sera del festival, una giuria composta da intellettuali di Sarajevo ci ha assegnato il premio “Mravac” “per il coraggio, per la ricerca non compromessa, per l’alta concentrazione e per la fede nel teatro”. Queste parole descrivono con precisione coloro che hanno voluto fortemente questo festival: segnale importante dell’attività culturale di Mostar, ma soprattutto centro intorno al quale si concretizzano progetti artistici veri.
Bologna, 23.09.1996