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L'arpa si sentì rubata (Marino Pedroni)

Pensieri attorno a Laminarie, al teatro e alla fiaba

 

Sono un operatore teatrale, lavoro al Teatro Comunale di Ferrara e lì mi occupo della progettazione e programmazione della Stagione di Teatro Ragazzi e di alcuni aspetti legati al teatro di ricerca e alla danza contemporanea.

Avevo letto e sentito parlare del gruppo teatrale Laminarie ma le osservazioni e i giudizi erano nebulosi e concordavano solo nel definirli epigoni della Socìetas Raffaello Sanzio. Poi l’anno scorso, un incarico per l’ETI mi ha condotto ad incontrarli e mi ha fornito l’occasione di assistere ad alcuni dei loro lavori sia in situazioni teatrali che in luoghi altri. Soprattutto queste ultime condizioni mi hanno fatto ragionare su di loro secondo tracce, non teoretiche né critiche, ma inseguendo i tropismi propri del mio operare nell’ambito progettuale.

Condurrò il mio intervento per spunti problematici e in questo procedere mi atterrò a tre nuclei di pensiero: lo spazio, l’oggetto, il ritmo.

Io ho potuto assistere a più rappresentazioni di Jack e il fagiolo magico, in teatri di tradizione e in spazi non-teatrali come la Salara, alle Ferriere di Efesto, ad un lavoro sulle fiabe nel parco dei Teatri di Vita quindi ho potuto visionare materiali video de La guardiana delle oche.

Credo che uno degli elementi fondamentali della poetica di Laminarie sia l’idea di spazio. Ciò non dipende dal fatto che il gruppo teatrale non possieda un proprio luogo ove rappresentare i propri spettacoli, o perlomeno questo è stato un fattore contingente che poi ha messo in moto cose che esistevano già o comunque che si sono andate formando.

 

1.

Credo che il teatro, più che per quello che dice, sia fondamentale o sia riconoscibile proprio per il modo in cui organizza lo spazio.

Laminarie è riuscita a costruire dei tragitti entro cui prendono forma determinate situazioni; mi riferisco soprattutto a Jack e il fagiolo magico e ancor di più a Le ferriere di Efesto che è stato rappresentato all’interno di una ferriera vera e propria.

In questi casi è evidente che il lavoro di Laminarie parte da un mezzo, da un inter-mezzo, da un ‘campo’ in cui ci sono delle cose da evidenziare, delle forme da riconoscere. Nei loro lavori riescono a rendere visibile forze che abitano dei luoghi. A questo riguardo c’è una bellissima immagine di Pavel Aleksandrovic Florenskij allorché parla della spazializzazione dell’arte che qui riporto: ‘se noi prendiamo un cartoncino e vi poniamo sopra del laminato di ferro non vedremo niente, nel momento in cui mettiamo un magnete si vedono delle direzioni, si manifestano delle forze’. Ecco questo accade negli spettacoli di Febo del Zozzo e Bruna Gambarelli laddove lo spazio è costruito, vissuto, ‘cade’ tra i corpi che lo abitano mettendo in evidenza le forze invisibili che ci sono. A tal proposito Tolstoj dice una cosa assai interessante: ‘Ci sono molte cose invisibili nello spazio, molti suoni inaudibili e molte meravigliose combinazioni di suoni e di parole che può trasmettere soltanto colui che sa vedere e ascoltare’.

Entrare e cercare, attraverso lo spazio, di costruire dei luoghi, è una delle caratteristiche fondamentali di questo gruppo.

Lo spazio precipita a-traverso i corpi, esso ha a che fare con il piacere e quest’ultimo con il gioco, certamente con il teatro.

Lo spazio è il dominio di ricerca fondamentale, al limite il teatro può essere letto a partire dal funzionamento dello spazio come ‘luogo’ dei segni scenici.

Se la cultura può essere vista come attività di organizzazione dello spazio, il gesto dà forma allo spazio.

L’artista, l’uomo di teatro pianta dei pali di confine, traccia dei limiti, riempie di un certo contenuto una data regione dello spazio, la carica a forza di un contenuto, costringendo lo spazio a cedere o a contenere più di quanto contenga di solito senza questa violenza.

E’ ciò che fa Efesto.

 

2.

Naturalmente tutto ciò, questa idea dello spazio, nasce da un gesto, un gesto che interviene in una serie di condizioni di forza particolare.

L’artista agisce in quella situazione, ma agisce mettendo in evidenza cose che stanno già nascoste in quello spazio. E’ ciò che possiamo chiamare trasfigurazione della realtà.  Questa è un’idea, non recentissima, ma interpretata in modo peculiare da Laminarie, che consta nel partire dal mezzo, cioè lavorare con delle materie, partendo dall’interno: non c’è un atto creatore  originario, è un partire dagli interstizi, ascoltando.

In qualche punto di un’intervista Bruna Gambarelli, parlando della nascita dei loro lavori, dice: ‘ Si parte da una dimensione fisica per poi incontrare un testo, alla radice dell’atto creativo c’è sempre l’oggetto’.

Chi abbia visto i lavori della compagnia non può non aver osservato quale posto occupi l’oggetto nella ricerca di Febo e di Bruna, come esso traspaia in un continuo rimando di presenza/assenza. 

Provo a spiegare riferendomi soprattutto a Le ferriere di Efesto.

Come già per lo spazio, ove stavano già forze prima del gesto, nell’oggetto vi è già del significante installato, è gia strutturato.

La relazione-di-oggetto poi, dinamicamente creatrice, è quella della mancanza. 

Fort-Da: ciò che dice Freud sul rocchetto che il bambino fa scomparire e ricomparire per giustificare la scomparsa della mamma per qualche momento. Nelle Ferriere Febo del Zozzo è riuscito a lavorare su questa relazione-di-oggetto ovvero è riuscito a trasformare l’oggetto in una presenza che ci serve nel momento dell’assenza producendo quel momento in cui l’oggetto diventa simbolico.

L’oggetto così inteso pone quindi il problema di come rappresentare tutto questo.

Rappresentazione (Vorstellung) sta per ‘far riapparire di fronte’ quindi l’accento non cade su un ‘oggetto per un soggetto’ ma sulla funzione ri-presentante che implica memoria e tempo.

Laminarie si pone all’interno di questo solco, in questo problema basilare del teatro contemporaneo ben tracciato da Romeo Castellucci nel Romanzo della cenere: ‘La domanda che viene posta alla radice del teatro è dunque: qual è la natura della rappresentazione? Qual è la funzione dell’immagine nell’era del suo impiego retorico?’

 

3.

Mi allaccio ora ad un’affermazione di Febo del Zozzo laddove dice. ‘…agisco in scena per modulare, per dare ritmo. Questo è per me l’attore: dare ritmo all’azione’.

Riprendo qui il concetto di ritmo.

La rima, il ritmo, la strofa si presentano come un insieme complesso di norme, di ostacoli che si frappongono al ‘libero’ decorso dell’espressione artistica.

Porre la possibilità di limiti che ci consentono di differire un tragitto, per tornare al discorso dello spazio. Ritmo come discontinuità, come principio organizzatore. 

Ritmo che partecipa dell’interezza dell’opera tanto da costituirne la profonda legge di sviluppo interno.

Il ritmo è un bisogno che traduce la forma in termini di divenire.

Con la sua breve dichiarazione Febo del Zozzo riesce a dare il senso dell’essere attore oggi.

Un’altra questione importante che riguarda l’oggetto è riferibile all’inserimento del cinema (d’animazione) nel lavoro Jack e il fagiolo magico. La natura proteiforme del cinema si embrica in modo coerente con la relazione-di-oggetto di sui cui si è detto. Proprio perché il cinema, come idea di immagine-movimento (Deleuze), oppure come immagine-tempo ci permette di dare le varie modulazioni, le varie angolazioni dell’oggetto. Il cinema viene usato come particolare tipo di pensiero, come cristallo di tempo.

Ho lasciato da ultimo l’analisi del lavoro che la compagnia ha fatto sulla fiaba che si tiene assai bene con la loro riflessione sullo spazio, il paesaggio, i luoghi.

In fondo nella fiaba c’è uno spazio assoluto. E poi la fiaba forse è ancora una delle poche forme, assieme al mito naturalmente, in cui compare l’enigma: altro elemento assai presente nei lavori di questa compagnia. Qui l’enigma recupera la sua forma primordiale, è l’enigma della sfinge, quello che ha condotto alla morte Omero, che sta alla radice del pensiero di Giorgio Colli: ‘esistono due corni di una questione, se si sbaglia a scegliere si muore’. L’enigma e il mistero permeano tutto il lavoro di Laminarie.

 

4.

Credo che il pensiero di Cristina Campo sulla fiaba abbia influenzato questo modo di sentire. In più parti de Gli imperdonabili Cristina Campo richiama la fiaba La guardiana delle oche, titolo anche di uno spettacolo di Laminarie. Nel capitolo Della fiaba: ‘A sei anni si può leggere tutto il giorno ma perché quel ritorno caparbio, ipnotizzato a certe immagini che un giorno verranno riconosciute: emblemi ricorrenti, vere imprese araldiche di una vita?  Bellezza e paura. Il dialogo, sotto la buia porta della città, tra la guardiana d’oche e la testa mozza del cavallo: ‘Addio Falada che pendi lassù/Addio Regina che passi laggiù/Se tua madre lo sapesse,/di dolore ne morirebbe’. 

Bellezza e paura sono i fondamenti della fiaba per la Campo, elementi che riprende anche nel Parco dei cervi. Emblemi ricorrenti che costituiscono anche il lavoro di Laminarie.

Molti artisti, molti gruppi teatrali legati alla ricerca o alla danza contemporanea si sono cimentati, in questi ultimi anni, con il mondo della fiaba, lo hanno fatto rivolgendosi ad un pubblico di adulti o di bambini (Socìetas Raffaello Sanzio, Teatro del Carretto, Lenz Rifrazioni, Virgilio Sieni ed altri) forse perché, come dice Guido Ceronetti ‘all’interno della fiaba, la contesa tra il tremendo rischio e il mistero della salvezza è perpetuo. Anche questo nega risolutamente l’umiltà delle sue origini. La fiaba viene dall’alto’.

E credo che sia veramente così.

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