logo DOM per LAMINARIE

  • Home
  • vite di un'altra fibra

vite di un'altra fibra

Bobby Fischer. Il Re indifeso

 

 

Non credo alla psicologia. Credo alle buone mosse.

Bobby Fischer


Crediti
 

con Lorenzo Benini, Alessandro Cafiso, Emilio Vittorio Gioacchini
regia, scene e suoni Febo Del Zozzo
cura Bruna Gambarelli
organizzazione Federica Rocchi
tecnica Carlo Colucci, Matteo Chesini
produzione Laminarie
con il contributo di: Regione Emilia Romagna – Assessorato alla Cultura

  


Prima rappresentazione 22 ottobre 2010 DOM la cupola del Pilastro, Bologna nell’ambito della rassegna Monopolio.

 

Bobby Fischer iniziò a giocare a scacchi a sei anni, quando la sorella Joan gli regalò una scacchiera. Mangiava, pensava, respirava pensando solo agli scacchi. Imparò da autodidatta, e giocò vincendo fin da bambino, ma riuscendo anche allo stesso tempo a inventare delle magnifiche partite. Vinse il titolo mondiale battendo il russo Boris Spasskji nel 1972 a Reykjavík,in una storica partita che, in piena Guerra Fredda, divenne subito metafora del conflitto tra i due stati. In quegli anni Fischer fu celebrato in patria come un eroe di guerra, ma la sua indole ribelle difficilmente poteva scendere a compromessi con il ruolo che i media e il potere gli avevano affidato. Da allora, smise completamente di giocare in pubblico e rinunciò a difendere il titolo nel 1975. Nel 1992, il governo americano gli proibì di giocare la "Rivincita del XX secolo" con Spasskji a Budva, perchè la Yugoslavia era allora sotto embargo delle Nazioni Unite. Ma Fischer partecipò ugualmente, fu incriminato e dovette fuggire dagli Stati Uniti, dove non tornò mai più, iniziando una lunga serie di misteriose peregrinazioni per il mondo. Fu arrestato in Giappone per conto del governo americano nel 2004 e, dopo un'intercessione di Boris Spasskji, fu infine accolto in Islanda, a Reykjavík, dove morì nel 2008.

Bobby Fischer. Il re indifeso intende mettere in scena ciò che ci ha colpito della vicenda del grande scacchista americano attraverso frammenti della sua vita, come se fossero raccontati assumendo una prospettiva interna alla sua storia.

Bobby è in scena non per raccontarsi ma per esserci, per darsi.

Nello spettacolo momenti diversi della sua storia sono affidati a tre attori (un bambino, un adulto e un anziano), che attraverso il cambio di un testimone nella forma di un legno rosso intrecciano la trama degli accadimenti. Gli attori si muovono in scena tra grovigli di cavi elettrici e vecchie radio a valvole, come interferenze nella vita di Fischer e nella sua unica vocazione agli scacchi.

Tifiamo per Fischer non solo perché è stato un campione di scacchi ma perché si è messo in gioco fino in fondo, accettandone i rischi. Ci interessa tentare con lui come se non ci fosse scampo.

 

BOBBY FISCHER (1943 - 2008)
Bobby Fischer iniziò a giocare a scacchi a sei anni. Vinse il titolo mondiale battendo il russo Boris Spasskji nel 1972 a Reykjavík, in una storica partita che divenne subito metafora della Guerra Fredda. Fischer fu celebrato in patria come un eroe di guerra, ma lui scelse di ritirarsi completamente e rinunciò a difendere il titolo nel 1975. Nel 1992 dovette fuggire dagli Stati Uniti per aver giocato una partita in Yugoslavia, allora sotto embargo delle Nazioni Unite. Morì in Islanda nel 2008 dopo una lunga serie di peregrinazioni per il mondo.

 


PRESS

 

Quello che è straordinario nello spettacolo di Laminarie dedicato a Fischer è la scelta dei protagonisti, dei tre Bobby. Il ragazzino, il giovane campione, il vecchio matto: in scena quei tre sono perfetti. Basterebbe guardarli cinque minuti, fermi immobili. E infatti non c’è bisogno di parole. Tre Bobby Fischer e, in fondo uno soltanto, uno e ossessivo.

La vicenda di Fischer (o dei tre Bobby) in tutte le sue tappe, o le sue età, è un pretesto perfetto per raccontare la storia del nostro mondo dalla fine della seconda guerra mondiale al 2001.

Vittorio Giacopini

 

 

 

 

Combinazioni

dedicato a John Cage

 

 


Crediti 

primo studio 

IMPERSONALE
con Febo Del Zozzo e Simona Bertozzi
regia e scene Febo Del Zozzo
drammaturgia Bruna Gambarelli
produzione Laminarie
cura Federica Rocchi
tecnica Matteo Chesini
promozione e amministrazione Viviana Mercurio

Prima rappresentazione 1 marzo 2012 DOM la cupola del Pilastro, Bologna nell’ambito di Centocage Bologna rende omaggio a John Cage (1912 – 1992) con il coordinamento Settore Sistema Culturale e Giovani del Comune di Bologna.

secondo studio 

COMBINAZIONI
con Febo Del Zozzo, Simona Bertozzi, Marco Dalpane e i bambini della classe 5A Scuola Primaria Romagnoli Istituto Comprensivo 11 di Bologna che hanno frequentato la scuola di Laminarie IL TUONO
regia e scene Febo Del Zozzo
drammaturgia Bruna Gambarelli
produzione Laminarie
cura Federica Rocchi
amministrazione Viviana Mercurio

con il contributo di Ministero per i Beni e le Attività culturali,Geco 2 – Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù,Regione Emilia-Romagna, Provincia di Bologna – Assessorato alla Cultura, Comune di Bologna – Assessorato alla Cultura
con il supporto di Comune di Bologna, Quartiere San Donato
spettacolo realizzato nell'ambito delle iniziative di Centocage – Bologna rende omaggio a John Cage (1912 – 1992) con il coordinamento Settore Sistema Culturale e Giovani del Comune di Bologna

Prima rappresentazione 22 luglio 2012 Teatrino della Collegiata, Santarcangelo di Romagna nell’ambito del Festival Internazionale del Teatro in Piazza.

 


 

 

  

Combinazioni raccoglie alcuni passaggi di un’esperienza articolata che il gruppo teatrale Laminarie e il musicista Marco Dalpane hanno condotto nell’universo artistico di John Cage, coinvolgendo, tra gli altri, una classe elementare del Pilastro, area urbana popolare di Bologna. Secondo un andamento frammentario, caro a Cage, un’orchestra composta da bambini di diversa nazionalità esegue alcune partiture del compositore più rivoluzionario del Novecento e fa da tessitura sonora agli interventi gestuali della danzatrice Simona Bertozzi e dell’attore e macchinista Febo Del Zozzo. 

La sequenza realizzata dall’attore e dalla danzatrice si basa sulla costruzione fisica di un ambiente intorno al movimento della danzatrice. Come spesso accade nei lavori della compagnia, viene messo al centro dell’attenzione l’aspetto materico del teatro, in cui i movimenti dei corpi, delle luci, delle scene, delle corde, attraverso una dosata precisione manuale, mutano continuamente la percezione visiva dello spettatore. In questo processo, gli strumenti da macchinista che solitamente lavorano dietro le quinte vengono in primo piano al posto dell’autore e della sua personalità, entrando direttamente in rapporto con il corpo della danzatrice, mentre al centro della macchina teatrale viene messa la relazione tra i due corpi in scena. I due stabiliscono tra loro una relazione silenziosa e potente affidandosi alla casualità di operazioni arbitrarie che mutano continuamente e imprevedibilmente sia la coreografia sia la dinamica dello spettacolo.

 


PRESS

 

In scena un macchinista, il regista Febo Del Zozzo, lontana militanza nella Raffaello Sanzio dell’età eroica e metallica di Amleto, e una delle danzatrici più intelligenti e intense della nuova ondata, Simona Bertozzi. Non ci sono suoni o musiche: solo rumori di tavole sbattute, di corde tirate. Non c’è psicologia, solo lavoro, ergonomia.

[...] E poi si accende, grazie alla forza degli interpreti: è la natura della “lotta di classe” tra i personaggi, il fare e il far sognare. La purezza di ninfa insidiata dal caos sembra contrastare contro la brutalità di satiro, in cerca di un’ascesi definita dalla rudezza muscolare che confligge con la sottrazione che porta alla leggerezza di movimenti impossibili eseguiti con estrema imperturbabile naturalezza, tra legni che cadono, dentro gabbie aeree di giapponese nitore, in attimi di controtensione che evocano la grazia minacciata, perfino la pace acquiscente e inefficace insidiata dal mondo ruvido della materia. Dall’incontro tra l’azione pura e la tensione all’astrazione possono nascere magie. In una luce che spesso langue, come la nostra ragione, a cui si chiede di fare un passo indietro. Per ascoltare. Per tornare a vedere.

Massimo Marino, Blog Controscene, Il Corriere di Bologna

 

IMPERSONALE, viaggio senza parole nel mistero di una coppia di distinti esseri (o essenze) abitanti il teatro nudo di un’esistenza da costruire e inventare; dove lo scarto delle differenze che sempre più – nel mentre – si rivelano fra i due, schiude in realtà la breccia al passaggio di un loro possibile verace incontro, ove ritrovare l’abbraccio combattuto di una reintegrata totalità libera da infingimenti, trucchi e apparati della mera rappresentazione.

Damiano Pignedoli, dramma.it

 

 

 

Esagera


da I racconti della Kolymadi Varlam Šalamov

 

 

Le vedevamo raramente le donne,
soprattutto da vicino,
soprattutto in una stanza,
a faccia a faccia.
Mi sembrò bellissima.
Feci un inchino, salutai.

Varlam Salamov 

 


Crediti

con Febo Del Zozzo
macchinisti in scena Bruna Gambarelli, Luca Ravaioli, Denis Gessi
voce di Irina Sirotinskaja, Sara Gambarelli, Annunciata Gambarelli
suoni Febo Del Zozzo, Luca Ravaioli
scene di Laminarie realizzate con Denis Gessi, Pasquale Zanellato, Luca Ravaioli
regia Febo Del Zozzo
organizzazione Laura Bernardini

 


Prima rappresentazione 12 giugno 2000, Teatro Furio Camillo, Roma.
Il primo studio dello spettacolo viene presentato nell’ambito del Festival Hops! Festival di visual e performing arts il 27 gennaio 2000, Link, Bologna.

 

Esagera muove dalla scoperta della qualità fortemente teatrale degli scritti di Varlam Šalamov di cui recupera i suggerimenti più emotivi. 

In una dimensione scenica di grande intimità – una stanza – si muove un solo interprete: giacca di lana ruvida di provenienza polacca o ceca, pantaloni scuri, scarpe di fabbricazione nazionale. La stanza è un minuscolo territorio, ha una finestra, una poltrona, un piccolo tavolo. Unico co-protagonista, il suono (all’inizio solo uno sbattere d’ali di uccelli) a delimitare e segnalare i tempi e i ritmi della rappresentazione. Fuori della stanza tre macchinisti azionano a vista un groviglio di corde, e ogni corda muove e cambia la posizione di un oggetto nella stanza, cosicchè la percezione visiva dello spettatore muta di continuo. Gli oggetti vengono spostati con fatica, con dosata precisione manuale, ma anche in maniera “vulnerabile”; questa non meccanicità dello spostamento determina quello che potremmo chiamare il gesto dell’oggetto. Dentro la stanza, l’attore testimonia ciò che Irina Sirotinskaja (la donna che per lunghi anni ha raccolto nella memoria i racconti di Šalamov) ricorda dell’amico scrittore. Non è tanto la vita nei campi di lavoro – che pure viene ricostruita attraverso azioni sceniche – che interessa, quanto piuttosto far rivivere alcuni aspetti della vita quotidiana di Šalamov, prigioniero nel campo, ma libero nella sua stanza, al riparo di questa preziosa nicchia.

 

VARLAM ŠALAMOV (1907- 1982)

Fu un poeta, scrittore e giornalista russo. Dal 1927 svolse attività d’opposizione al regime staliniano. Trascorse 17 anni nel lager della Kolyma, in Siberia. Subito dopo il ritorno a Mosca, Šalamov cominciò a comporre la sua monumentale opera sulla sua vita nel gulag. Le opere di Šalamov hanno cominciato ad essere pubblicate in patria solo alla fine degli anni Ottanta, dopo la sua morte. “Vi sono libri che sembrano rifiutare ogni presentazione: parlano, anzi gridano, da soli. Sono anche libri che sembrano sottrarsi a un giudizio estetico: ci portano all’inferno, come guide impeccabili, e lì ci abbandonano a noi stessi […]” (dalla presentazione di Adelphi 1995).

 


 

PRESS

 

[…] Una stanza semioscura, dove l’attore si muove lentissimo tra una poltrona e un tavolino, all’esterno due macchinisti muovono corde, azionano carrucole, freneticamente, ma con misura, ritmo ossessivo ma scandito. Poi, movimento di scena, cala il soffitto, rimangono dei vestiti appesi, lo stesso attore questa volta mima i lavori forzati, cadono cubetti di legno, un cubo più grande, due marionette pendono dal soffitto e lottano tra gli applausi registrati, poi una parete viene trafitta con dei chiodi. In sottofondo interloquiscono le parole di Irina Sirontiskaja. Parole anti spettacolari, fredde, necessarie, ma senza emozione, come quelle pochissime dell’attore in giacca e pantaloni. I rumori invece sono vividi, violenti, invasivi. Muoversi tra questi simboli non è facile.

Quelli di Laminarie ci costringono a selezionare i sensi, preferire l’udito, dosare la vista, allenarla alla lentezza del gesto, alla profondità dei piani (scena, proscenio, sfondo). […] I gesti sono astratti, svuotati da ogni intenzione comunicativa. Laminarie lavora sul sottile, sulle percezioni. Così i gesti non hanno scopo pratico, nessuna emozione di partenza e in questo vuoto diventano assoluti, radicali, trasparenti ma non privi di memoria. Se il gesto lentissimo si trasforma in una nota per le infinite combinazioni, le parole anch’esse impersonali si disperdono, scandite da rumori persecutori (pagine di libro, colpi di martello…)

[…] l’artificio dei pannelli, delle pareti che si spostano ad opera dei due macchinisti, le marionette, i cordami, un po’ di teatro per bambini, ma che qui diventa volontà di mostrare, di soddisfare il falso desiderio della vista per trasportarla immediatamente verso il dettaglio, essenza della poesia e suo flusso vitale.

(da Simone Azzoni, «L’arena – il giornale di Verona», 8 marzo 2001)

 

Proiezione Verticale

primo avvicinamento a Constantin Brâncusi 

 

 

Il volo ha occupato tutta la mia vita.
Io non voglio rappresentare un uccello ma il volo, il dono, lo slancio.
Constantin Brancusi

 


 Crediti 

Proiezione verticale
di e con Febo Del Zozzo
drammaturgia Bruna Gambarelli
scene e allestimento Febo Del Zozzo
assistente di produzione Noemi Piccorossi
cura Federica Rocchi

Prima rappresentazione (primo studio) 21 novembre 2013 DOM la cupola del Pilastro, Bologna.

In seguito rappresentato nella sua forma definitiva al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna il 24 e 25 ottobre 2014 nell’ambito di VIE festival curato da Emilia Romagna Teatro Fondazione.

Il progetto Proiezione Verticale - Avvicinamento a Constantin Brâncusi è stato realizzato
in collaborazione con Museo Nazionale di Bucarest, Istituto Italiano di Cultura 
di Bucarest, Teatro Bulandra di Bucarest, Città di Targu Jiu, Consolato di Timisoara,
Bakelit Multi Art Center di Budapest, Avant Rue di Parigi, Tornabuoni Art di Parigi,

MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna.

Con il contributo di Regione Emilia-Romagna – Assessorato alla Cultura, Ministero per i Beni e le Attività Culturali


 

 

 

 

Proiezione verticale indaga, attraverso i linguaggi del teatro contemporaneo, una delle più famose opere dello scultore rumeno Constantin Brâncusi, la Colonna senza fine, di cui l’artista realizzò diverse versioni. La più nota Colonna si trova nel Parco Monumentale di Targu Jiu ed è una struttura modulare in metallo alta circa trenta metri che pesa 29 tonnellate che riprende le antiche forme lignee dei pilastri che sorreggono le case tradizionali rumene.

La performance Proiezione verticale è uno svelare a poco a poco l’atelier di Brâncusi, dove l’artista solitario lavora la materia con calma e sicurezza. 

La pratica artistica è evocata attraverso una partitura silenziosa di azioni, gesti e immagini. All’inizio, l’atelier dell’artista è coperto da un velo e le azioni dell’attore sono quasi impercettibili. Lo spazio scenico è un parallelepipedo chiuso, dove l’attore lavora senza discussioni apparenti con sé stesso. Poi, l’attore scopre la scena e rivela uno spazio ben perimetrato, con i suoi confini bianchi e le superfici vuote.

 

IL VIAGGIO DI LAMINARIE

Il primo studio dello spettacolo Proiezione verticale ha debuttato presso il teatro DOM La cupola del Pilastro di Bologna nel febbraio 2013. Nell’estate 2013, la compagnia ha intrapreso un viaggio di oltre 6.000 km via terra per attraversare l’Europa sulle tracce dello scultore rumeno, che all’inizio del Novecento compì un leggendario viaggio a piedi per raggiungere Parigi dal suo paese natio, la Romania. Il lento viaggio di Laminarie, che ha attraversato l’Europa da est a ovest collegando le città di Craiova, Bucharest, Timisoara, Budapest e Parigi, è stato innanzi tutto un percorso di ricerca teatrale volto ad approfondire la vita e l’opera di

Brâncusi, in vista delle successive tappe produttive. Un’impresa che cerca il confronto con un tempo e un ritmo diversi, nonché con l’imprevisto e la difficoltà, nella consapevolezza che percorrere fisicamente le distanze sia un importante mezzo per permettere al lavoro artistico di sostanziarsi attraverso l’esperienza diretta.

 

VIA TERRA

Un film documentario che racconta il viaggio di Laminarie attraverso l’Europa: le tappe e i chilometri percorsi, gli incontri, i luoghi di spettacolo, i paesaggi attraversati.

 

Constantin Brâncusi (1876 - 1957)
Fu uno degli scultori più influenti del XX secolo. Nasce nel 1867 in Romania e raggiunge Parigi nel 1904 con un leggendario viaggio a piedi attraverso l’Europa. Le opere di Brâncusi sfuggono alla catalogazione in un movimento artistico preciso e tendono all’essenzialità e universalità delle forme. La maggior parte delle sculture di Brâncusi sono oggi visibili nell’Atelier Brâncusi, situato di fronte al Centro Pompidou a Parigi.

 

 


PRESS

 

La compagnia Laminarie da tempo procede su un doppio binario, o paradosso. Da una parte negli spettacoli si interroga fisicamente su una sorta di teatro-lavoro, che per azioni concrete prova a snidare la spiritualità dallamateria. Dall’altra, nello spazio di Dom al Pilastro, lavora in una zona di Bologna ritenuta da sempre “difficile”, dimostrando come nelle periferie si possa fare cultura e si riesca, addirittura, a far scattare parecchie scintille tra la gente comune e l’arte di ricerca o d’avanguardia.

Non a caso di recente, per questo lavoro sui confini, ha riportato in una città come Bologna in decadenza artistica (teatri espugnati dallo spettacolo d’intrattenimento, lo Stabile sull’orlo del fallimento) un premio speciale Ubu, che non arrivava da un po’ di tempo. Adesso ha presentato uno spettacolo dedicato allo scultore Constantin Brancusi come incipit di una bella stagione intitolata Quello che si ha.

Più che uno spettacolo in realtà Proiezione verticale è dichiarato “un primo avvicinamento a Brancusi”. Si tratta di una quarantina di minuti che si aprono con una breve conferenza della storica dell’arte Silvia Evangelisti (nota come ex direttrice di Arte Fiera) e di una baluginante performance di Febo Del Zozzo, tra pietre, veli, pali, con la costruzione di un totem che allude alla famosa Colonna infinita di Brancusi. Gli atti successivi a questo […] si annunciano come sorprendenti: per esempio un viaggio a piedi degli elementi del gruppo con bambini da Bologna alla città rumena dove nacque lo scultore e da lì poi fino a Parigi, seguendo le tracce dell’artista, che partì dalla terra natia per la capitale dell’arte mondiale, agli inizi del Novecento, usando come mezzo di trasporto le proprie gambe. Segno di una radicalità, che a Brancusi faceva cercare le forme nella materia grezza, e gliele faceva estrarre con la forza e il genio delle mani, scalpellando la pietra, lavorando, da artigiano fuori dai giochi delle scuole di avanguardia, vari materiali. Silvia Evangelisti, con bella grazia, ci spiega tutto questo e ci introduce ad alcune opere nodali dello scultore, alla sua amicizia con Modigliani e alle influenze sulla scultura di quest’ultimo. Ci porta tra la pietra, il legno e l’esigenza di bucare il cielo, di trascendere la realtà inventando qualcosa che è contenuto già nella materia delle cose.

Del Zozzo rende azione fisica quello che prima abbiamo ascoltato. Inizialmente in una camera a forma di parallelepipedo, nascosto da teli, come sfocato movimento, come suono di scalpello, come ombre. Il mistero dell’arte, tra luci fioche o lampade da lavoro, che all’improvviso squarciano il clima crepuscolare. Poi lima, sega, mentre intorno incombe rumore di tuono. Infine con una scala infigge in un sostegno l’asse, un palo, per alludere alla Colonna infinita, mentre rumori di gabbiani evocano la spinta verso l’alto, il desiderio non di rappresentare il volo, ma di slanciarsi oltre le apparenze, alla ricerca di qualche invisibile essenza che ci circonda e che di solito non vediamo. L’azione è semplice, un fare funzionale che all’improvviso scarta e aggiunge senso. […]

Massimo Marino, Il Brancusi di Laminarie: l’infinito della materia, su Controscene, boblog.corrieredibologna.corriere.it

 

Un senso nuovo

Tre lettere di Simone Weil

 

Scrivere  - come tradurre  - negativo  - scartare quelle parole che velano il modello, la cosa muta che deve essere espressa

Simone Weil


 Crediti

 di Febo Del Zozzo e Bruna Gambarelli
con Bruna Gambarelli
suoni e scene Febo Del Zozzo
video Lino Greco
tecnica Carlo Colucci, Matteo Chesini, Filippo Deambrogio
cura Federica Rocchi
produzione Laminariecon il contributo di Comune di Bologna – Settore Cultura
Regione Emilia Romagna – Assessorato alla Cultura
Provincia di Bologna – Assessorato alla Cultura Ministero per i Beni e le Attività Culturali  


Prima rappresentazione 27 novembre 2009, DOM la cupola del Pilastro, Bologna.

 



Un senso nuovo mette in scena tre lettere di Simone Weil: la lettera all’amica Albertine, la lettera a Georges Bernanos, e l’ultima lettera ai genitori. In queste lettere, Simone racconta con straordinaria lucidità l’esperienza di operaia in fabbrica, la guerra civile spagnola da combattente, e la sua passione per la verità. Simone Weil ha avuto per tutta la vita il desiderio di scrivere con chiarezza, e queste tre lettere ne sono un esempio evidente. Eppure la lettura de I Quaderni, il suo testo più significativo, non è affatto semplice. Perché per comprendere i suoi scritti occorre uscire dallo schema del pensiero logico-dimostrativo o consequenziale che procede per tappe. Secondo Simone Weil, è necessario leggere gli eventi e le opere “senza forma né nome”, ovvero è necessario abbandonare ogni forma precostituita del pensiero per avvicinarsi a una visione dei fatti che preveda la relazione tra piani molteplici di lettura. Questa relazione simultanea tra i pensieri non si può comunicare, si può solo cercare di renderla sensibile, attraverso la forma-non forma dell’opera, o attraverso la forma della vita.

Un senso nuovo va in questa direzione, tentando di cogliere attraverso il linguaggio molteplice del teatro questa diversa modalità di lettura, che possiamo solo raggiungere se ci poniamo disarmati di fronte all’opera. Lo spettacolo non procede infatti in senso biografico, né intende dimostrare la centralità del pensiero della Weil nella storia della filosofia del Novecento. Saranno le immagini, i suoni, le parole, le pagine che tenteranno di riportarci riflessi dell’opera e della vicenda umana di Simone Weil.

SIMONE WEIL (1909 - 1943)
Insegnante di filosofia, militante nel sindacalismo rivoluzionario, operaia metalmeccanica, combattente in Spagna, resistente a Marsiglia durante l’occupazione tedesca, esule negli Stati Uniti e infine collaboratrice a Londra di France Combattante l’organizzazione della resistenza francese in esilio. Morta nel sanatorio di Ashfort nel Kent il 24 agosto nel 1943, a 34 anni. Simone Weil ha rappresentato uno dei punti più alti della coscienza critica tra le due guerre per il rigore della sua analisi della storia e della cultura occidentale, e per l’acutezza di un pensiero applicato ad investigare le questioni cruciali di un’epoca che è ancora per l’essenziale la nostra. Simone Weil riesce ad essere simultaneamente due cose che di rado convivono: studio documentato e testimonianza personale.

 


PRESS

 

Laminarie rende sensibili il legame e la connessione tra concepire, sentire e agire, quella relazione tra piani molteplici di lettura che è relazione simultanea tra i pensieri.

Grazie alla necessariamente lunga gestazione di una modalità di lettura e mediante la trasposizione dell’attesa in azioni teatrali fondate su tecniche sonore e scenografiche vieppiù affinate nello scartare ciò che può “velare il modello”. Un senso nuovo non solo ci restituisce i riflessi della scrittura e della vicenda umana di Simone Weil ma anche tenta di cogliere attraverso il linguaggio molteplice del teatro “la cosa muta che deve essere espressa”.

Maria Concetta Sala

 

 

 

Vite di un’altra fibra

Molte delle produzioni teatrali di Laminarie degli ultimi anni possono essere raccolte sotto il titolo “Vite di un’altra fibra”, che sottolinea la coerenza di un tracciato seguito dalla compagnia negli ultimi quindici anni. 

Si tratta di percorsi di ricerca molto articolati che sono stati nel corso degli anni dedicati a diverse “figure esemplari”: artisti, intellettuali e persone che hanno svolto un ruolo ispiratore per la nostra ricerca artistica e non solo. Non si tratta dunque semplicemente di spettacoli teatrali con un intento prettamente biografico, ma di progetti molto complessi composti generalmente da diverse tappe produttive che includono anche lectures, video, articoli, viaggi.

 

 

Constantin Brancusi(1867 - 1957)

Fu uno degli scultori più influenti del XX secolo. Nasce nel 1867 in Romania e raggiunge Parigi nel 1904 con un leggendario viaggio a piedi attraverso l’Europa. Le opere di Brancai sfuggono alla catalogazione in un movimento artistico preciso e tendono all’essenzialità e universalità delle forme. La maggior parte delle sculture di Brancusi sono oggi visibili nell’Atelier Brancusi a Parigi, situato di fronte al Centro Pompidou a Parigi.

Laminarie ha realizzato nel 2013/2014 un ampio progetto dedicato a Brancusi che include: lo spettacolo Proiezione Verticale; il progetto internazionale Attraverso l’Europa; il documentario Via Terra; incontri di riflessione a DOM; articoli e pubblicazioni sulla rivista Ampio Raggio


 

John Cage (1912 - 1992)

E’ stato il compositore sperimentale americano più influente del ventesimo secolo, padre dell’indeterminismo, un estetico ispirato dallo Zen che ha espulso tutte le nozioni della scelta dal processo creativo, rifiutando i principi composizionali più utilizzatinel passato come la conseguenza logica, la sensibilità verticale e la tonalità.

Laminarie ha realizzato nel 2011/2012 un ampio progetto dedicato a Cage che include: lo spettacolo Combinazioni; la rassegna Urto a DOM (sito dom); un laboratorio dedicato ai bambini dell’Istituto Comprensivo 11 di Bologna insieme a Marco Dal Pane.


 

Jackson Pollock(1912 - 1956)

Fu un artista fondamentale nella storia dell’arte del Novecento. La pittura di Pollock si esprime anche nell’abbandono completo di ogni forma espressiva grafica. Le opere più significative sono quelle realizzate

con la tecnica del dripping, consistente nel far gocciolare il colore su una tela posta in orizzontale, determinandone la colatura con gesti rituali e coreografici in cui erano presenti reminescenze dei riti magicopropiziatori praticati dagli indiani d’America.

Laminarie ha realizzato a partire dal 2006 un ampio progetto dedicato a Pollock che include: lo spettacolo teatrale Jackson Pollock L’azione non agente; la performance Jackson Pollock on the other hand; il progetto internazionale New York; la lecture Jackson Pollock; un progetto speciale realizzato a Vercelli in occasione della mostra su Peggy Guggenheim


 

Simone Weil (1909 - 1943)

Ebrea, insegnante di filosofia, militante nel sindacalismo rivoluzionario, operaia metalmeccanica, combattente in Spagna, resistente a Marsiglia durante l’occupazione tedesca, esule negli Stati Uniti e infine collaboratrice a Londra di France Combattante l’organizzazione della resistenza francese in esilio. Morta nel sanatorio di Ashfort nel Kent il 24 agosto nel 1943, a 34 anni. 

Simone Weil ha rappresentato uno dei punti più alti della coscienza critica tra le due guerre per il rigore della sua analisi della storia e della cultura occidentale, e per l’acutezza di un pensiero applicato ad investigare le questioni cruciali di un’epoca che è ancora per l’essenziale la nostra. Simone Weil riesce ad essere simultaneamente due cose che di rado convivono: studio documentato e testimonianza personale.

Simone Weil costituisce una delle figure cardine per la ricerca artistica di Laminarie fin dagli esordi. Si veda anche la pagina(link alla pagina indagini – simone weil). Laminarie ha realizzato nel corso degli anni ampi studi e progetti dedicati alla Weil tra cui: lo spettacolo Poema della Forza; lo spettacolo Un senso nuovo; incontri di riflessione a DOM; articoli e pubblicazioni sulla rivista Ampio Raggio.


 

Bobby Fischer

spettacolo Bobby Fischer il Re indifeso; incontri di riflessione a DOM; articoli e pubblicazioni sulla rivista Ampio Raggio.


 

Varlam Šalamov

spettacolo Esagera; incontri di riflessione a DOM; articoli e pubblicazioni sulla rivista Ampio Raggio


 

logo-DOM