Bobby Fischer. Il Re indifeso

 

Non credo alla psicologia. Credo alle buone mosse.

Bobby Fischer

 


Crediti
 

con Lorenzo Benini, Alessandro Cafiso, Emilio Vittorio Gioacchini
regia, scene e suoni Febo Del Zozzo
cura Bruna Gambarelli
organizzazione Federica Rocchi
tecnica Carlo Colucci, Matteo Chesini
produzione Laminarie
con il contributo di: Regione Emilia Romagna – Assessorato alla Cultura

  


Prima rappresentazione 22 ottobre 2010 DOM la cupola del Pilastro, Bologna nell’ambito della rassegna Monopolio.

 

Bobby Fischer iniziò a giocare a scacchi a sei anni, quando la sorella Joan gli regalò una scacchiera. Mangiava, pensava, respirava pensando solo agli scacchi. Imparò da autodidatta, e giocò vincendo fin da bambino, ma riuscendo anche allo stesso tempo a inventare delle magnifiche partite. Vinse il titolo mondiale battendo il russo Boris Spasskji nel 1972 a Reykjavík,in una storica partita che, in piena Guerra Fredda, divenne subito metafora del conflitto tra i due stati. In quegli anni Fischer fu celebrato in patria come un eroe di guerra, ma la sua indole ribelle difficilmente poteva scendere a compromessi con il ruolo che i media e il potere gli avevano affidato. Da allora, smise completamente di giocare in pubblico e rinunciò a difendere il titolo nel 1975. Nel 1992, il governo americano gli proibì di giocare la “Rivincita del XX secolo” con Spasskji a Budva, perchè la Yugoslavia era allora sotto embargo delle Nazioni Unite. Ma Fischer partecipò ugualmente, fu incriminato e dovette fuggire dagli Stati Uniti, dove non tornò mai più, iniziando una lunga serie di misteriose peregrinazioni per il mondo. Fu arrestato in Giappone per conto del governo americano nel 2004 e, dopo un’intercessione di Boris Spasskji, fu infine accolto in Islanda, a Reykjavík, dove morì nel 2008.

Bobby Fischer. Il re indifeso intende mettere in scena ciò che ci ha colpito della vicenda del grande scacchista americano attraverso frammenti della sua vita, come se fossero raccontati assumendo una prospettiva interna alla sua storia.

Bobby è in scena non per raccontarsi ma per esserci, per darsi.

Nello spettacolo momenti diversi della sua storia sono affidati a tre attori (un bambino, un adulto e un anziano), che attraverso il cambio di un testimone nella forma di un legno rosso intrecciano la trama degli accadimenti. Gli attori si muovono in scena tra grovigli di cavi elettrici e vecchie radio a valvole, come interferenze nella vita di Fischer e nella sua unica vocazione agli scacchi.

Tifiamo per Fischer non solo perché è stato un campione di scacchi ma perché si è messo in gioco fino in fondo, accettandone i rischi. Ci interessa tentare con lui come se non ci fosse scampo.

BOBBY FISCHER (1943 – 2008)
Bobby Fischer iniziò a giocare a scacchi a sei anni. Vinse il titolo mondiale battendo il russo Boris Spasskji nel 1972 a Reykjavík, in una storica partita che divenne subito metafora della Guerra Fredda. Fischer fu celebrato in patria come un eroe di guerra, ma lui scelse di ritirarsi completamente e rinunciò a difendere il titolo nel 1975. Nel 1992 dovette fuggire dagli Stati Uniti per aver giocato una partita in Yugoslavia, allora sotto embargo delle Nazioni Unite. Morì in Islanda nel 2008 dopo una lunga serie di peregrinazioni per il mondo.


PRESS

Quello che è straordinario nello spettacolo di Laminarie dedicato a Fischer è la scelta dei protagonisti, dei tre Bobby. Il ragazzino, il giovane campione, il vecchio matto: in scena quei tre sono perfetti. Basterebbe guardarli cinque minuti, fermi immobili. E infatti non c’è bisogno di parole. Tre Bobby Fischer e, in fondo uno soltanto, uno e ossessivo.

La vicenda di Fischer (o dei tre Bobby) in tutte le sue tappe, o le sue età, è un pretesto perfetto per raccontare la storia del nostro mondo dalla fine della seconda guerra mondiale al 2001.

Vittorio Giacopini

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